Mist3ri

Grigorij Efimovič Rasputin.

Mist3ri

Grigorij Efimovič Rasputin.

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Grigorij Efimovič Rasputin , più noto come Rasputin (Pokrovskoe, 10 gennaio 1869 – San Pietroburgo, 29 dicembre 1916) è stato un mistico russo. La sua notorietà deriva dalle misteriose influenze che aveva su parte della famiglia imperiale russa, appartenente alla dinastia dei Romanov

Nascita

Nacque nel villaggio di Pokrovskoe, il 10 gennaio 1869, nella provincia di Tobol’sk in Siberia da Efim Jakovlevič Rasputin e Anna Vasil’evna.

Sulla data di nascita non si è certi in quanto lo stesso Rasputin si invecchiava di proposito, anche di vari anni, aiutato dal suo viso rozzo e solcato da rughe.

Si invecchiava con lo scopo di mantenere credibile la sua figura di monaco, figura che in Russia godeva di particolare prestigio se anziano.

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Si narra che da piccolo cadde nel fiume gelido con suo fratello e che riuscì a guarire da una grave polmonite, dopo giorni di deliri e strane visioni. Suo fratello, invece, morì.

Si trasformò in fretta in un giovane uomo irrequieto che si ubriacava, rubava e correva dietro alle donne per soddisfare un appetito sessuale che sembrava non placarsi mai (Rasputin è il soprannome che si guadagnò proprio in quegli anni e, in russo, significa depravato).

A quel tempo si imbatté casualmente in una setta rinnegata dalla Chiesa ortodossa, i quali adepti sostenevano che per comprendere appieno l’essenza di Dio era necessario peccare.

Solo con l’intima conoscenza del male il peccatore poteva pentirsi, e quindi ottenere il perdono.

L’uomo si doveva macchiare d’ogni tipo di colpa per godere della grazia divina.

Rasputin, quasi diciottenne e semianalfabeta, abbracciò con entusiasmo la nuova religione.

Vestito da monaco, si dedicò con impegno ai dogmi della setta, interpretandoli a suo piacimento.

Si proclamò veggente e guaritore. Diceva di essere guidato dal volere di Dio. Durante i suoi continui pellegrinaggi, attirò l’attenzione di molti.

Da un breve matrimonio ebbe tre figli.

Riprese immediatamente il suo vagabondare.

Lo sguardo da folle e la convinzione di essere in possesso di conoscenze da rivelare a pochi eletti lo portarono a San Pietroburgo.

Frequentò con soddisfazione il movimento nazionalista dei “Veri Russi”.

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Rasputin riuscì ad entrare negli ambienti di corte, considerato in possesso di misteriosi poteri sovrannaturali.

L’ultimo Zar, Nicola II della dinastia Romanov, giovane ed immaturo, pregava da tempo affinché Dio inviasse una guida per aiutarlo ad affrontare tutte le responsabilità.

Tra le altre cose lo Zar era preoccupato dal mancato arrivo di un erede maschio.

Venuto alla luce Alessio, il tanto atteso figlio, i genitori non poterono comunque gioire, il bimbo infatti era emofiliaco, e questo destava notevoli preoccupazioni.

Rasputin, grazie a questo momento di debolezza dello Zar, trovò terreno fertile per i suoi sproloqui, e si mosse con scaltrezza.

Con il suo “carisma” pare riuscì a conquistare il cuore di molte donne aristocratiche, con le quali intratteneva relazioni sessualmente molto spinte.

Rasputin riuscì a bloccare l’ennesima emorragia del piccolo Alessio. Sul come ci riuscì vi rimando a varie teorie che si trovano anche su internet.

L’episodio fu sufficiente a rendere Rasputin un membro della famiglia reale.

In Russia non ci si spiegava come fosse possibile che gli imperatori accettassero un individuo così ambiguo a palazzo.

Molte persone dubitarono dell’”integrità morale” dello Zar e della Zarina, che non avevano fatto trapelare la notizia dell’emofilia del pargolo per non destare preoccupazione tra i sudditi.

Rasputin non si adoperò certo per metter a tacere i pettegolezzi.

Varie testimonianze ci parlano di banchetti durante i quali il monaco si ubriacava, mangiava con le mani, ruttava rumorosamente e infine si faceva leccare le dita dalle sue devote commensali.

È leggendaria la sua avversione per l’acqua e il modo in cui si svolgevano i suoi rari bagni.

Erano bagni collettivi, amava immergersi in grandi vasche con molteplici donne con le quali si divertiva e dalle quali si faceva lavare.

Si diceva che le quattro figlie dello Zar fossero ben disposte a soddisfare le perversioni del monaco.

Rasputin, ubriaco fradicio ad ogni festa, raccontava degli incontri a sfondo sessuale tra lui, la Zarina e le figlie.

Alla fine l’imperatore lo allontanò da corte.

Quando il piccolo Alessio fu sull’orlo di un altro dissanguamento, pare che Rasputin, richiamato, riuscì ad arrestare l’emorragia.

A questo punto i monaci e i vescovi che si opponevano a lui venirono puniti dai Romanov. Si pensava che il monaco fosse arrivato ad avere il controllo su ogni questione concernente l’impero.

Nel 1916 una congiura di nobili vicini alla corte decise che il monaco doveva essere eliminato.

Nel dicembre di quell’anno, il principe Jusupov lo invitò a cena nel suo palazzo, con la scusa di presentargli la bellissima moglie Irina.

Rasputin, insaziabile come al solito, accettò con entusiasmo.

Irina era una delle poche donne con le quali ancora non si era “dilettato”: non poteva lasciarsi sfuggire una simile occasione.

Successivamente Jusupov spiegherà che aveva organizzato l’assassinio per salvare l’impero.

Ma il fatto che Jusupov non si fosse mai dichiarato un sostenitore della famiglia reale, e la sua dichiarata bisessualità, fanno pensare che i motivi furono ben altri. Secondo i piani l’avrebbero dovuto avvelenare.

Per essere sicuro del risultato Felix Jusupov aggiunse cianuro a tutto quello che c’era di commestibile e al vino che il monaco adorava.

Rasputin arrivò verso le undici e si tuffò sull’alcol e sul cibo, ingurgitando abbastanza veleno da uccidere sei uomini.

Irina non era consapevole del complotto e non sarebbe mai arrivata, ma Jusupov prese tempo e attese accanto a lui che il cianuro facesse effetto.

Rasputin, mezzo ubriaco, si dilettò nel suonare la chitarra fino alle due del mattino, ora in cui propose di andare a fare un giro in città.

Il terrore di trovarsi di fronte a un essere capace di cenare a base di veleno e accusare poi un semplice bruciore di stomaco prese i congiurati riuniti al piano di sopra.

Decisero di passare alle maniere forti. Jusupov scese con una pistola e vide il monaco che pregava ai piedi di un crocefisso.

Gli sparò nella schiena. Rasputin era ancora vivo, ma i congiurati pensarono che sarebbe morto per dissanguamento entro poco.

Un’ora dopo Rasputin sembrava morto, ma quando Jusupov lo mosse, il monaco aprì gli occhi e cominciò a chiamarlo per nome: “Felix… Felix… Felix…”.

Rasputin barcollando tentava di scappare dirigendosi verso la porta, tra gemiti e parole sconnesse.

Riuscì ad arrivare in giardino, gli spararono altre quattro volte. A terra continuò a gemere e a strisciare verso il cancello.

Presero a sferrare calci furiosi alla testa del monaco finché quest’ultimo non smise di muoversi.

Successivamente Rasputin venne pugnalato e preso a randellate, respirava ancora. Il suo cadavere, ben zavorrato, venne gettato in un canale.

Riemerse due giorni dopo; sottoposto ad autopsia incredibilmente non vi si trovarono tracce del veleno.

Fu riscontrata acqua nei polmoni, la qual cosa significa che nonostante il veleno, i colpi di pistola e le bastonate, incredibilmente Rasputin fu gettato nell’acqua ancora vivo, e quindi morì annegato.

Vennero presi dei provvedimenti contro i partecipanti del complotto. Jusupov fu mandato in “esilio in campagna”, Pavlovič fu inviato in Persia a combattere in prima linea.

Ironia della sorte, l’esilio salvò Jusupov, la rivoluzione bolscevica di lì a poco avrebbe rovesciato il trono nel sangue.

I contadini considerarono l’omicidio del monaco come l’ennesimo sopruso ai danni del popolo da parte degli aristocratici.

La sua morte fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Durante le sommosse bolsceviche la tomba di Rasputin fu violata, il corpo bruciato e le ceneri disperse.

Il monaco aveva previsto la sua morte con largo anticipo.

Lo scrisse chiaramente nei suoi diari:

“Sento che devo morire prima dell’anno nuovo.

Se io verrò ucciso dai nobili, le loro mani resteranno macchiate del mio sangue e per venticinque anni non potranno togliersi dalla pelle questo sangue.

Zar della terra di Russia, se tu odi il suono delle campane che ti dice che Grigorij è stato ucciso, devi sapere questo.

Se sono stati i tuoi parenti che hanno provocato la mia morte, allora nessuno della tua famiglia, rimarrà vivo per più di due anni. Essi saranno uccisi dal popolo russo… Pregate, siate forti…”

Il suo membro venne successivamente essiccato, e circolò a lungo dentro ad uno scrigno.

Testimonianze riportano che “assomigliava ad una lunga banana rinsecchita”.

Lungo qualcosa più di 33 centimetri, “srotolato” supera le dimensioni del mio avambraccio.

Il membro definito: “Unico e prezioso” dal sessuologo Igor Kniazkin è conservato ed esposto al pubblico in un museo erotico di San Pietroburgo.

Aldo Montano lo ha definito: “Una montagna, una cosa impressionante”.

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I pellegrinaggi in giovane età.

Per anni condusse la normale vita dei contadini russi siberiani, alternando il lavoro dei campi all’allevamento di cavalli e all’attività di vetturino.

Fin da ragazzo dimostrò un’indole fortemente tesa alla spiritualità e al misticismo ossessivo, fenomeno in realtà diffuso da secoli e frequente tra i popolani della Russia centrale che non avevano conosciuto l’oppressione della servitù della gleba tanto quanto era accaduto nelle campagne della Russia europea.

Dopo essersi sposato ed aver avuto tre figli, ancora in giovane età intraprese lunghi pellegrinaggi, che lo condussero fino al Monte Athos.

Nel 1905 approdò alla corte dello zar Nicola II: sospettato di aver aderito alla setta dei Khlysti, una congregazione clandestina di orgiastici che stigmatizzava gli eccessi di secolarità della Chiesa ortodossa e poi di aver frequentato il Movimento nazionalista dei veri russi, malgrado la mancanza di istruzione allestì una rete di relazioni di altissimo livello che in breve tempo lo condusse a corte, accompagnato dalla fama dei suoi poteri sciamanici.

L’influenza sui Romanov e la malattia dello zarevič

Fu proprio grazie alla sua reputazione di guaritore che entrò in contatto con persone vicine alla famiglia imperiale, nella speranza che potesse essere di aiuto per contenere l’inguaribile emofilia di Aleksej, il piccolo zarevič.

Al primo incontro Rasputin riuscì ad ottenere qualche effetto sul piccolo malato, così lo zar e la zarina gli permisero di visitare sempre più spesso la loro riservatissima casa, situata nel parco di Carskoe Selo.

Secondo una teoria, Rasputin sarebbe riuscito ad interrompere le crisi ematiche di Aleksej utilizzando un tipo di ipnosi che rallentava il battito cardiaco del bambino, riducendo in questo modo la pressione del sangue.

Secondo un’altra ipotesi, sembra che i medici di corte tentassero di guarire l’emofilia dello zarevic con l’aspirina che, se da un lato leniva i dolori articolari, dall’altro acuiva le emorragie causate dall’emofilia.

Secondo questa versione, senza aspirina la salute di Aleksej migliorava e il merito veniva attribuito a Rasputin.

Occorre tuttavia menzionare un fatto scientificamente inspiegabile, avvenuto il 12 ottobre 1912: in quell’occasione, venne ricevuto da Pietrogrado un telegramma della famiglia reale che lo informava di una grave crisi di emofilia dello zarevic ormai in punto di morte (“I medici sono disperanti.

Le vostre preghiere sono la nostra ultima speranza”), Rasputin si immerse in preghiera per diverse ore nella sua casa in Siberia, cadendo in uno stato di trance.

Terminate le preghiere, inviò un telegramma alla famiglia reale in cui assicurava la guarigione del piccolo, cosa che effettivamente avvenne nell’arco di poche ore, dopo giorni di inutili cure mediche.

Il potere nella capitale.

Il suo carisma mistico esercitò sulla famiglia Romanov, in particolar modo sulla zarina Alessandra, un’influenza così intensa da dare adito a molte congetture: si giunse al punto che le numerose segnalazioni sul suo intenso libertinaggio con le dame dell’aristocrazia venivano regolarmente smentite dalla coppia reale, talvolta anche con la punizione degli zelanti segnalatori.

Rasputin, oltre che dare speranze alla famiglia imperiale circa una possibile guarigione del giovane, sembrava andare incontro alle ispirazioni più intime dei sovrani.

Infatti egli, essendo un semplice figlio delle campagne, rappresentava ciò che Nicola II e Aleksandra Fëdorovna avevano sempre desiderato: un contatto diretto con l’autentico popolo russo, senza intermediazioni di etichetta e convenzioni sociali.

In seguito alla sua stabilizzazione nella capitale, visto l’enorme ascendente che il contadino aveva sulla zarina, presto attorno a lui si creò una vastissima rete di noti personaggi e politici, che in cambio di intercessioni rispetto alla sovrana erano disposti a soddisfare le richieste che Rasputin faceva loro da parte di migliaia di postulanti.

Dalle campagne contadini e artigiani accorrevano chiedendo aiuto e intercessione allo starec, a tal punto che l’appartamento durante la giornata era sempre affollato e il telefono squillava in continuazione.

Nelle mani di Rasputin passavano centinaia di rubli, che egli indiscriminatamente distribuiva ai postulanti; richieste di denaro, di occupazione, e anche lamentele dalle campagne verso i grandi proprietari giungevano a Rasputin che, in quanto creditore presso personaggi dell’alta società, le faceva andare nella maggioranza a buon fine.

Il resto dell’enorme quantità di denaro era spesa, come attestano i numerosi verbali di polizia, in locali notturni e in incontri ai bagni pubblici con donne di ogni classe ed età: numerose sono le leggende circa la sua insaziabile libidine; la stampa pubblicava in continuazione scabrosi racconti di fantasia sulle sue leggendarie notti; ciò accrebbe le dicerie non solo su una sua presunta super dotazione, quanto su una improbabile e sempre smentita relazione con la sovrana.

È provato invece che, con il tempo, acquistò sempre maggiore influenza sulla mistica zarina, inviandole sempre più consueti messaggi con consigli perentori di carattere morale, religioso e politico.

Rasputin e la guerra

Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, Rasputin si oppose fermamente all’entrata in guerra della Russia, e pronosticò che avrebbe portato immani catastrofi ai contadini, che sarebbero morti a migliaia.

Tuttavia, non poté esercitare la sua influenza sul sovrano, perché subì un attentato nel suo villaggio siberiano il 15 giugno, lo stesso giorno dell’omicidio di Sarajevo.

Si limitò ad inviare un disperato telegramma ai sovrani:

« Credo, spero nella pace. Stanno preparando un orribile misfatto, ma noi non ne siamo partecipi »

(telegramma del 19 luglio 1914)

Lo zar, che invano aveva tentato di mediare per una soluzione pacifica e aveva ottenuto in cambio la dichiarazione di guerra dalla Germania, stracciò il messaggio.

Nel 1915 con la partenza dello zar per il fronte, le denunce di Rasputin contro le collusioni di ministri e alti funzionari con il traffico illegale d’armi e le speculazioni sui latifondi ai danni dei contadini si intensificarono.

La zarina, che assente lo zar deteneva il potere a san Pietroburgo, effettuò su suo consiglio continui, disastrosi e repentini cambi al vertice di governo, proprio nel momento (durante la prima guerra mondiale) in cui, in assenza del sovrano dalla politica interna, si necessitava di un governo forte.

Si sospettò, forse non senza ragione, che avesse effetti sulle decisioni dei reali in tema di politica (in particolare in direzione di una politica pacifista e di buone relazioni con i tedeschi, paese della zarina e con il quale i rapporti erano tesi).

Ad un certo punto venne accusato anche di corruzione e per questo allontanato dalla residenza imperiale dallo stesso zar; però, le condizioni del piccolo Aleksej andavano peggiorando, così la zarina decise di rivolgersi nuovamente a lui.

La risposta fu che le condizioni di suo figlio sarebbero migliorate anche in sua assenza, cosa che effettivamente accadde.

Nel 1916, in piena crisi di governo – che Rasputin stesso con la sua rete clientelare aveva contribuito a creare – e tra le alterne fortune degli eserciti russi sul fronte orientale, una congiura ordita dal granduca Dmitrij Pavlovič, dal principe Feliks Feliksovič Jusupov e dal deputato conservatore Vladimir Mitrofanovič Puriškevič, decise di assassinarlo.

Contro Rasputin vennero orditi complotti ed attentati finchè l’ultimo gli fu fatale.

In un primo momento venne aggredito addirittura da alti prelati ortodossi in una chiesa, picchiato e trascinato per i piedi da un carro in corsa.

Successivamente una sua ex seguace, passata con il clero ortodosso, lo accoltellò al ventre. Venne poi investito da un’automobile ma si salvò fortunosamente.

Gli furono intentati contro diverse inchieste, venne arrestato, bandito, sorvegliato, pedinato e spiato.

 

La morte.

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Fu avvelenato con il cianuro durante una cena a casa di Jusupov, ma dato che incredibilmente resisteva al potentissimo veleno, i congiurati decisero di sparargli.

Nonostante fosse stato abbondantemente avvelenato e colpito da un colpo di pistola al fianco, Rasputin si riebbe; venne così colpito da un nuovo colpo alla schiena e, mentre veniva trascinato verso il cancello del cortile, fu finito con un colpo in fronte, sparato probabilmente da un membro dei servizi segreti inglesi.

Il suo cadavere fu gettato nel fiume Neva, da cui riemerse il giorno dopo.

Secondo l’esito dell’autopsia (eseguita la notte del 20 dicembre dal professor Kosorotov), ancora più incredibile è il fatto che il corpo non presentava tracce del veleno, dando luogo a dispute tra gli storici circa l’effettiva modalità di eliminazione.

Fu riscontrata acqua nei polmoni, quindi nonostante il veleno e i colpi di pistola Rasputin fu gettato nell’acqua ancora vivo, dimostrando un’inaspettata e sorprendente vitalità.

Rasputin fu quindi sepolto, ma il suo corpo venne poi dissotterrato e bruciato ai bordi di una strada.

Non ci volle molto perché venissero presi provvedimenti contro i partecipanti del complotto, anche se per alcuni giochi di palazzo non venne svolto alcun processo.

Jusupov fu mandato in “esilio in campagna”. Apparentemente a Dmitrij Pavlovič andò peggio: fu infatti inviato in Persia a combattere in prima linea.

Per un bizzarro gioco del destino, però, mentre la maggior parte dei membri della monarchia incorsero nelle inchieste sollevate dopo la rivoluzione di Febbraio nel 1917, questa destinazione punitiva fece sì che il granduca Dmitrij fosse uno dei pochi Romanov a pianificare una fuga all’estero.

Approfondimento.

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Numerose testimonianze documentano che Rasputin fosse veramente dotato di facoltà paranormali, che si esplicavano in un certo potere terapeutico – facente forse appoggio sull’ipnosi che sapeva indurre nei suoi pazienti – e nella facoltà di predire talvolta eventi futuri.

Sta di fatto che Rasputin riusciva a tenere sotto controllo la grave malattia che affliggeva l’erede al trono, il piccolo Alessio, e proprio grazie a ciò era riuscito ad ottenere agli occhi dei sovrani – soprattutto della zarina – un’influenza incancellabile.

Il potere “magico” di Rasputin consisteva nell’accumulo di una fortissima carica magnetica che poi riusciva a riversare sulle persone che voleva per i suoi scopi, anche se non è da trascurare una probabile predisposizione naturale.

Rasputin aveva in sé anche la forza selvaggia della terra siberiana: era un uomo pieno di fede sincera, istintiva e violenta; quando pregava, e non mancava mai di farlo, si gettava pesantemente in ginocchio appoggiando curiosamente le mani al suolo.

Tuttavia la sua non era la fede dei cristiani ortodossi ma, con ogni probabilità, quella della setta eretica dei Flagellanti, per certi versi molto più vicina ad antichi culti pagani che alla religione di Cristo.

Ma chi erano realmente i Flagellanti o Uomini di Dio? Il fulcro della loro rituaria erano i “raduni” (radienje), cerimonie estatiche se non pure orgiastiche che si tenevano in luoghi segreti.

Ecco come ce li descrive uno scrittore dell’epoca, il celebre polacco Ferdinand Ossendowski: “Una volta, cacciando nel governatorato di Novgorod, nelle foreste presso la stazione di Lubar, abitavo nel piccolo villaggio di Marjino.

Non lontano da questo c’era il possedimento dei principi Golitzir i più grandi aristocratici della Russia, discendenti del Rurik. Una sera il padrone della capanna da me abitata, un certo Basilio Antonin, mi sussurrò misteriosamente nell’orecchio: — Non vorrebbe assistere al radienje funzione divina dei khlyst? Sapevo che i khlyst erano dei settarii e che i loro radienje, o misteri religiosi, si distinguevano per una barbarie straordinaria.

Mosso dalla curiosità accettai dunque senz’altro. Erano già le nove di sera e cadeva una scura notte autunnale.

Usciti di casa, ci siamo diretti verso il possedimento principesco. Il mio padrone m’introdusse in uno dei grandi fabbricati che circondavano il cortile.

In un grande salone, illuminato soltanto da sette grosse candele di cera accese nei diversi suoi angoli, regnava la penombra.

Faceva caldo e si soffocava, perché vi si accalcavano non meno di ottanta persone, uomini e donne, maturi o ancora completamente giovani. In fondo al salone c’era una tavola, coperta di una tovaglia bianca.

Ho osservato un’immagine santa completamente annerita dal tempo, una grande pila d’acqua santa ed un grosso librone legato in legno. Sulla tavola non era accesa che una sola candela.

Presso la tavola, che fungeva evidentemente da altare, stava un forte contadino dai lunghi capelli neri, cinti sulla fronte da una stretta cinghia e dalla barba curata diligentemente.

Quando la folla si mise in ordine e tacquero gli echi dei passi e dei sussurri, il forte contadino, dopo aver letto nel grosso libro qualche testo in slavo antico, cominciò a fare sulla fronte e sul petto i segni della croce, inginocchiandosi e inchinandosi ogni volta fino a terra.

Osservavo che i suoi movimenti diventavano sempre più impetuosi e rapidi, e che gli occhi dei presenti si fissavan con tensione, come ossessi su questo “sacerdote”.

Finalmente questi, messosi dritto in piedi e gridando: “Pregate e fate delle offerte!” afferrò da un mucchio di bastoni trovantisi nell’angolo della sala, una lunga verga – in russo khlyst, e da qui il nome della setta – e cominciò a flagellarsi il dorso e la testa.

Quando la verga tagliò, fischiando, alcune volte l’aria, mi ricordai i misteri sanguinosi dei dervisci che avevo visto in Turchia e in Crimea.

Il sacerdote gettò intanto via il camiciotto e la camicia, denudandosi fino alla cintola. La flagellazione colla verga s’intensificò, diventando sempre più rapida e forte.

Tutto il suo dorso era incrociato da righe rosse, quando finalmente ne sprizzò fuori il sangue, colando giù in un tenuissimo rigagnolo.

Ed allora tutta la folla, il mio padrone compreso, si gettarono sulle verghe. Cominciò una flagellazione generale. Si fecero sentire i fischi dei forti ed elastici bastoni, il pesante respiro dei convenuti, i gemiti.

I presenti cominciarono a gettar via da sé i vestiti, per portar la loro mortificazione all’apice. Il “sacerdote” invece, battendosi sempre colla verga, cominciò intanto a girare attorno a sé sopra un piede ed a saltare.

Alcuni dei presenti si misero ad imitarlo, e qualche minuto più tardi tutta la folla si trovò in un movimento pazzesco, battendosi a vicenda con dei bastoni, balbettando e gridando qualche cosa con dei gemiti angosciosi.

Alcuni caddero presto, cadde anche il “sacerdote”, altri invece saltavano ancora calpestando coi loro piedi i giacenti.

L’aria era satura del vapore delle esalazioni dei corpi stanchi e sudati, dell’odore di scarpe e biancheria sporca.

Qualcuno cominciò a spegnere i lumi, e quando non restò che quello sopra l’altare non riuscivo a scorgere che un mucchio di corpi umani, maschi e femmine, accumulati uno sopra l’altro, spossati, sanguinanti, mezzi morti. Questo è il radienje”.

Ossendowski non parla dell’orgia sessuale che conseguiva al momento dello spegnimento dei lumi, poiché, non essendo membro della setta, si era confezionata per lui una cerimonia ridotta, ma da altre documentazioni risulta che i Khlysty così facessero.

La setta era abbastanza ramificata nella popolazione, anche perché la persecuzione della polizia zarista non era così rigida come per altre sette, come quella dei Castrati (Skoptzy).

Pare però che tra i due gruppi ci fosse una certa intercomunicabilità, alcuni ritenendo quello dei Castrati un “livello superiore”.

Sta di fatto che le dottrine alla base dei due gruppi avevano molto di analogo e forse la differenza consisteva soltanto nella valutazione del modo con cui “salvarsi l’anima”.

I primi infatti ritenevano di poter combattere il peccato col peccato stesso mentre i secondi eliminavano drasticamente il problema alla radice, amputandosi i genitali e i seni!

Entrambe le sette reclutavano i propri aderenti non solo nei ceti contadini; tra i Flagellanti vi erano numerosi commercianti e fra i Castrati numerosissimi banchieri.

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Ma qual’era la tecnica grazie a cui Rasputin riusciva ad esercitare i suoi poteri?

Quella che emerge dalla consultazione dei documenti, specialmente quelli scoperti nel 1995 dallo studioso Edvard Radzinskij, era una specie di magia sessuale basata sulla trasmutazione della pulsione libidinosa in energia nervosa, ma Rasputin, ovviamente, non ne accennò mai se non sibillinamente, parlando di “affinamento dei sensi”.

Un qualcosa di simile è stato postulato molte decine di anni dopo da un serbo, Paul Grégor, in seguito alle sue esperienze tra i macumbeiros brasiliani.

In pratica, Rasputin, anche più volte al giorno in certi casi, aveva degli approcci sessuali con donne di ogni tipo, talvolta senza che queste donne fossero al corrente della pratica messa in atto dallo sciamano siberiano! Lo scopo di questi approcci era quello di contenere la pulsione erotica, di non farla sfociare nel comune coito, ma di lasciarla, per così dire, a “friggersi” nell’aura di uno o di entrambi i partners.

Se la donna o Rasputin stesso “cedevano”, l’operazione tecnica non andava a buon fine e questo, di passata, spiegherebbe perché Rasputin congedava bruscamente moltissime donne, mentre con altre continuava ad intrattenere rapporti intimi.

In un rapporto della polizia segreta che lo sorvegliava, è scritto che Rasputin – frequentatore anche di prostitute di ogni tipo – era entrato nella camera di una meretrice con due bottiglie di birra e si era limitato ad ordinare alla donna di spogliarsi nuda mentre lui la rimirava.

Il Radzinskij, scrittore acuto ma estraneo alle cose esoteriche, ha pensato che fosse la prova che Rasputin in realtà era un impotente.

La spiegazione più confacente, invece, è che si trattava di una tecnica di “amor platonico” nel senso che abbiamo accennato prima.

Probabilmente, dunque, nei radienje dei Flagellanti dovevano esistere due livelli di comprensione della dottrina segreta: quello più esteriore, in cui attraverso un amore di gruppo si sublimava il “peccato”, e quello più interno, in cui si comprendeva che la bramosia erotica doveva venire portata sì al massimo della tensione ma poi riassorbita nel corpo, al fine di procacciare all’iniziato un forte potere magnetico ed estatico.

Se così fosse, si potrebbe dire che le antichissime tecniche di alcuni culti misterici pagani si erano perpetuate fin nel XIX° secolo!

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Rasputin era anche famoso per le sbornie gigantesche che faceva: ingurgitava una quantità prodigiosa di vini pregiati (madera, marsala) ubriacandosi regolarmente.

Tuttavia nessuno è mai riuscito a spiegarsi come facesse ad annullare tutti i sintomi dell’ebrezza alcoolica nel giro di poche decine di minuti! Talvolta, nel pieno di una potente ubriacatura, veniva convocato d’urgenza dalla zarina, e lui si presentava sempre ed immancabilmente sobrio.

Viene da pensare che l’alcool che prendeva gli serviva per propiziare degli stati di coscienza alterati e che il suo Io avesse la capacità di sdoppiarsi e di “mettersi da parte” rispetto alla sua fisicità più corporea.

Nonostante la nomea di crapulone che si era fatto nei suoi soggiorni nei ristoranti più costosi di San Pietroburgo, Rasputin seguiva una sua dieta particolare: non mangiava mai carne né toccava dolciumi o cioccolatini; era sua premura invece di mangiare sempre pesce.

Su Rasputin, all’epoca, gli ambienti della Chiesa Ortodossa avevano fatto circolare un libello calunniatore e voci terribili, che fosse l’Anticristo in persona, un mago nero ed un assassino.

Non c’è nessuna prova certa che possa testimoniare della veridicità di queste accuse. Tuttavia già nel 1840 la polizia zarista aveva acquisito delle testimonianze circa sacrifici umani e pratica di erotismo cannibalico.

Certamente si aveva interesse a demonizzare ogni voce di dissenso religioso, tuttavia le pratiche aberranti di mutilazioni sessuali dei Castrati sono documentate fotograficamente e lo stesso governo comunista russo continuò nell’opera di repressione di queste sette.

Non ci sarebbe quindi da meravigliarsi se tutto ciò – a prescindere da Rasputin – fosse vero.

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La nomea diabolica che la Chiesa Ortodossa appiccicò addosso a Rasputin

Ebbe parte anche nella leggenda che fu fatta circolare sulla sua morte e su cui hanno indugiato delle ricostruzioni cinematografiche.

In realtà, come ha convincemente dimostrato il Radzinskij, Rasputin non morì nel modo che venne riportato nelle testimonianze verbali e scritte rilasciate dai suoi stessi assassini, i quali avevano interesse a nascondere certi particolari e ad ingigantire, appunto, i poteri di Rasputin, tanto da farlo apparire come un vero demonio immortale.

Non si tentò di avvelenare Rasputin con l’arsenico messo nel vino e nei pasticcini ma gli si sparò al petto immediatamente.

Tuttavia i colpi non furono così letali come apparve al suo primo assassino e Rasputin ne approfittò per tentare di fuggire in strada.

Qui venne fulminato dalle rivoltellate di un altro congiurato, poi il precedente sparatore si accanì sulla sua faccia con un “rompitesta” di gomma, sfigurandolo.

Gettato nel fiume Neva ghiacciato, Rasputin pare che ebbe un ultimo sussulto di vita, poiché il suo corpo congelato venne ritrovato nel gesto di chi era riuscito parzialmente a liberarsi dalle corde con cui era stato legato (vedi foto).

Certamente la forte carica vitale del siberiano deve avergli impedito di morire ai primi colpi di pistola.

Morto Rasputin, lo zar e la zarina lo fecero seppellire in segreto sotto l’altare di una chiesa in costruzione.

Dopo pochi mesi però, caduti i sovrani, il suo corpo venne ritrovato e disseppellito dalla soldataglia che pensava di trovare sepolte con lui chissà quali ricchezze e distrutto ignominiosamente: durante uno degli spostamenti, il camion che trasportava la bara esumata si ruppe e chi ne aveva la custodia decise di dargli fuoco ai lati della strada accumulando una grande catasta di legna.

I comunisti in seguito deportarono i familiari di Rasputin, che morirono di stenti. Solo la figlia maggiore riuscì a scampare alla rovina riparando all’estero.

Per una curiosità della storia la figlia di costei divenne inconsapevolmente amica della nipote dell’uomo che aveva sparato e ucciso Rasputin! La nipote di Rasputin morì quindi negli Stati Uniti nel 1974. Nel 1964 morì esule in Finlandia Olga Vyrubova, la vera detentrice dei segreti fra la famiglia imperiale e Rasputin che però non tradì mai.

Rasputin non lasciò un’eredità spirituale, poiché la sua fu l’esperienza di uno staretz, un anacoreta itinerante; forse uno sciamano inconsapevole.

Soltanto dopo la perestroijka di Gorbaciov si sono diffuse in Russia iniziative che tentano di ricollegare Rasputin ad un’ortodossia cristiana pura e integrale; tacendo tuttavia quello che in lui con l’ortodossia cristiana non aveva nulla a che fare.

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